IL PADIGLIONE PHILIPS e IL POÈME ELECTRONIQUE – Bruxelles (1956-1958)

“…una Stella esiste, più in alto delle altre. E’ la Stella Apocalittica. La seconda Stella è quella dell’Ascendente. La terza è quella degli Elementi che si presenta in numero di quattro, cosicché le sei Stelle sono stabilite. Oltre ad esse c’è ancora un’altra Stella, l’Immaginazione, che fa nascere una nuova Stella e un nuovo Cielo”. (Paracelso, Astronomia Ermetica )

IL PADIGLIONE PHILIPS: architettura, suono, video

Nel 1956 la Philips Corporation commissionò, per scopi puramente pubblicitari, a Le Corbusier, uno dei più importanti architetti della storia, di progettare un Padiglione per l’Esposizione Internazionale del 1958 a Bruxelles: fu così che venne realizzata la prima architettura multimediale della nascente era elettronica, divenendo tra l’altro uno dei più singolari “oggetti a reazione poetica” ideati da questo geniale architetto francese.

   

Il Padiglione Philips, secondo l’indicazione della direzione artistica dell’azienda, doveva accogliere uno spettacolo fatto di luci e suono che potesse illustrare la direzione intrapresa dal progresso tecnico.

Quando Louis Kalff, architetto, ingegnere e direttore artistico della Philips, si recò da Le Corbusier per chiedergli di progettare un padiglione per la Philips, precisò subito che non avrebbero esposto i loro prodotti commerciali, bensì che volevano presentare uno spettacolo inedito degli effetti del suono e della luce, una dimostrazione tesa a illustrare dove avrebbe potuto arrivare il progresso bel futuro.

Le Corbusier gli rispose: “Non vi farò un padiglione, vi farò un Poème Electronique e la bottiglia che lo conterrà”, e pensò alla collaborazione di due grandi artisti altrettanto all’avanguardia come lui : Edgar Varèse per la musica e Jannis Xenakis per il design e gli aspetti tecnici.

   

Edgard Varèse, parigino di nascita, noto compositore molto singolare è considerato il “Father of Electronic Music” (“I Long for instruments obedient to my thought and whim, with their contribution of A whole new world of unsuspected sounds, which will lend themselves to the exigencies of my inner rhythm.” June 1917).

Jannis Xenakis, compositore e architetto greco naturalizzato francese, ha unito l’idea della progettazione a quella della composizione musicale e visiva.

Il Padiglione, infatti, costruito seguendo una complessa e rigorosa elaborazione geometrica di gusci sottili autoportanti incurvati formati da lastre precompresse in cemento armato, andò identificandosi con il “Poème électronique” che veniva rappresentato al suo interno: uno spettacolo progettato come un’opera per orchestra nella quale gli strumenti virtuali erano le luci, gli altoparlanti, le immagini proiettate sulle superfici incurvate, le ombre e le espressioni degli spettatori, in una sostanziale identificazione dello spazio con il suono.

Fu dimensionato per accogliere seicento spettatori ogni otto minuti, precisamente 480 secondi, il tempo fissato per ogni rappresentazione: uno spazio continuo in cui non esisteva alcuna distinzione fra pareti e soffitto, bensì una stretta relazione tra la forma a “stomaco” della pianta e lo sviluppo dell’involucro.

Infatti, Le Corbusier sviluppò sin dal primo momento un concetto spaziale che per analogia rimandava allo stomaco: la gente entrava, vedeva, sentiva, digeriva, usciva e quello che contava era passare attraverso un’esperienza.

  

L’intero lavoro fu iniziato e diretto da Le Corbusier, che si occupò anche della realizzazione e della selezione delle immagini che componenvano il filmato proiettato su due pareti, cui si aggiunsero il “suono organizzato” composto da Edgar Varèse e diffuso mediante 350 altoparlanti articolati in “strade sonore”, e le sbalorditive superfici architettoniche (paraboloidi iperbolici e conoidi) progettate da Iannis Xenakis.

 

L’obiettivo di Le Corbusier non era quello di realizzare un “locale” in più nella sua carriera, ma di creare un vero e proprio “gioco” elettronico e sincronico in cui il volume, il movimento, il suono e l’idea complessiva potessero formare un tutto sbalorditivo e innovativo.

Il risultato furono un Padiglione dall’architettura rivoluzionaria, aderente allo spettacolo come un vestito,  e la prima vera e propria Opera Multimediale dell’era elettronica nella storia capace di suscitare il senso di un’esperienza totalizzante dell’ascolto e della visione, un vero ambiente immersivo, giacché lo spazio del Padiglione conteneva i materiali audiovisivi come parti integrali del disegno architettonico, uno spazio di “giuochi elettronici, capaci di emozionare gli uomini e le donne, capaci di rivolgersi al cuore di un uomo o di una donna, come anche a mille o diecimila, o centomila spettatori e uditori”.

Il due mondi creativi Architettura-Musica erano fino ad allora sempre stati relazionati, ma in modo statico: della musica veniva considerato il valore prettamente matematico al fine di trarne uno strumento di progettazione di edifici, ovvero si utilizzava il rapporto tra le altezze delle note come mezzo per rapportare, appunto, le varie parti di un edificio, considerando che un intervallo che dà un buon risultato uditivo deve darne uno altrettanto buono dal punto di vista visivo (dai Greci in poi… Come per esempio in S. Maria Novella a Firenze l’altezza dell’ordine inferiore pari al doppio di quello superiore, legati dunque dal rapporto musicale di ottava).

Ma la valenza della musica ha avuto significati diversi nell’architettura e nell’arte nei secoli.

Nel Novecento finalmente figure come Le Corbusier si riallacciano alla tradizione proponendo ancora una volta l’uso di proporzioni musicali ai fini di dimensionare gli edifici, legando molto il concetto anche a quello delle naturali “proporzioni umane” (vedi “Le Modulor”) e similmente artisti, come Vasilij Kandinskij (che coolaborava con Schoenberg stesso all’interno del “Der Blaue Reiter”) o Corrado Cagli o Paul Klee, si riferiscono alla musica contemporanea (che ha chiare volontà di coinvolgimento dei fenomeni visivi), con il supporto tecnico dell’informatica e della tecnologia per arrivare alle prime forme di dialogo dinamico tra i due mondi creativi.

 

Con Iannis Xenakis e Le Corbusier, nel Padiglione Philips, i muri nel lato interno assumono l’identità di pareti proiettanti sulle quali si svolge il Poeme Electronique di Edgard Varése, una composizione di suoni, immagini, luci e laser, e tutto l’edificio è costituito da superfici rigate derivanti dallo spartito ideato da Metastasis e di Xenakis stesso: le pareti stesse erano uno spartito.

Il Padiglione Philips nasce intorno ad una musica e per ciò il suo volume è progettato al fine di completare il lavoro dei singoli strumenti (in tal caso elettronici) e dialogare con l’utente che non è più spettatore fermo. A seconda di come questo si muove all’interno della costruzione, infatti, cambia tutto l’insieme delle percezioni che ha, in ambito sia visivo che acustico, le pareti stesse, riflettendo luci e note, dialogano con le persone stimolando sensazioni diverse, e la pianta stessa della struttura si esprime, suggerendo (con la sua forma a “stomaco”) il percorso migliore al fine di avere una comprensione completa ed esaustiva del lavoro musicale di Varése. 

Le pareti del  Padiglione  furono come delle Ipersuperfici, una particolare categoria di piani usati da quel momento in poi in architettura, che come delle pareti proiettanti varcano i confini di staticità di un edificio.

Il Poème Electronique si proponeva, in particolare, di mostrare, in mezzo a un tumulto angosciante, la civiltà partita alla conquista dei tempi moderni. L’opera “musicale” di Varese, della durata di otto minuti, sintetizza il lungo cammino dell’umanità, per concludersi in un’apoteosi ottimistica aperta verso un mondo di gioia e di armonia a venire. Luce, colore, immagine e ritmo, messi in rapporto tra loro e con la musica scritta da Edgar Varèse, “un giovane di settant’anni” che Le Corbusier volle assolutamente per “scatenare il torrente musicale“.

Malauguratamente, una sintesi così visionaria di idee innovative risultò troppo in anticipo rispetto alla sua contemporaneità, ed un analogo paradigma non solo non fu più ripetuto, ma  neppure nuovamente tentato: il Padiglione, nonostante l’incredibile numero di spettatori (2 milioni), fu distrutto pochi mesi dopo la sua inaugurazione, alla fine dell’Esposizione. La scomparsa del Padiglione fa del Poème électronique un capolavoro distrutto ed una grave perdita per il mondo della cultura, in particolare per la cultura europea, poiché fu concepito, progettato e realizzato da europei. 

Ciò che ora è rimasto sono soltanto frammenti degli elementi componenti (fotografie e bozzetti dell’architettura, il video originariamente proiettato nella copia conservata dagli archivi Philips, una riduzione stereofonica dei brani musicali di Varèse e Xenakis). 

Tutti questi frammenti sono di accesso pubblico, ed i progressi tecnologici della realtà virtuale, insieme con le possibilità di elaborazione audiovisive, hanno reso possibile la rinascita del Poème électronique.

Nell’ultima sequenza, l’ottimismo, la fede nel domani, nelle possibilità dell’uomo e della civiltà contemporanea trovano la loro apoteosi. Le Corbusier stesso si fa profeta e messia di questa speranza materializzata in immagini che rappresentano la sua opera: l’architettura, l’urbanismo, l’occupazione naturale del territorio sono i mezzi attraverso i quali l’umanità raggiungerà il benessere.
Le grandi architetture lecorbusiane invadono gli schermi mentre la voce del Maestro recita: “ATTENZIONE ATTENZIONE. Tutto si compirà all’improvviso: una civiltà nuova un mondo nuovo. ASCOLTATE: E’ urgente ristabilire le condizioni di natura: nel tuo corpo e nel tuo spirito: sole, spazio, verde. Costruiamo le strade del mondo per rendere la terra accessibile, produttiva e materna. Universo matematico senza confini umani senza limiti…

  

La componente visiva

La componente visiva di Poème Electronique è quella cui Le Corbusier volse tutto il suo sforzo creativo.
Uno scenario ottico che avrebbe utilizzato i mezzi del cinema e la tecnologia illuminotecnica, per realizzare una visione del mondo ” sintetica e cinematica ”.

Il Poème è diviso in sette sequenze successive che, pur senza evidenziarsi nel corso dello spettacolo, ne organizzano il messaggio e la concezione. 

  1. Genesi (da 0 a 60″)
  2. Di terra e di spirito (da 61″ a 120″)
  3. Dall’oscurita’ all’alba (da 121″ a 204″)
  4. Divinita’ fatte di uomini (da 205″ a 240″)
  5. Cosi’ formano gli anni (da 241″ a 300″)
  6. Armonia (da 301″ a 360″) 
  7. Per donare a tutti (da 361″ a 480″).

Le immagini, tutte selezionate da Le Corbusier, erano state raccolte interpellando i direttori del Museo di Storia naturale, del Museo Antropologico, del Museo delle Tradizioni popolari di Parigi e Jean Petit. 

La sequenza cinematografica di queste immagini fisse illustravano il corso della civilizzazione umana, sempre più meccanizzata, e la conquista di un’ armonia futura. 

Un ottimismo e la fiducia per la scienza e la tecnica culminavano mettendo in mostra opere di architettura e urbanistica. 

Una voce declamava: ”Attenzione attenzione. Tutto si compirà all’improvviso: una civiltà nuova un mondo nuovo. Ascoltate. E’ urgente ristabilire le condizioni di natura: nel tuo corpo e nel tuo spirito: sole, spazio, verde. Costruiamo le strade del mondo per rendere la terra accessibile produttiva e materna. Universo matematico senza confini, confini umani senza limiti”.

Poi immagini di bambini vengono a portare la speranza di un futuro che sta nascendo e l’effigie della Mano Aperta, il grande simbolo lecorbusiano di pace e libertà intellettuale e materiale, appare a  concludere il poème, mentre la voce recita ancora: “Riconosci questa Mano Aperta, la mano aperta innalzata come segno di riconciliazione, aperta per ricevere, aperta per donare“.

La struttura visuale, suddivisa in quattro componenti connesse fra loro, fu realizzata grazie alla supervisione di Philipe Agostini che curò il montaggio e Luis C. Kalff :

  1. Ecran: la proiezione delle immagini avveniva attraverso due postazioni che proiettavano le stesse figure in direzioni diverse, e la forma del volume e la curvatura delle superfici del padiglione avrebbero eliminato ogni rischio di rigidità e specularità;
  2. Ambiances: l’utilizzo della luce in strati di colore creavano atmosfere e stati d’animo;
  3. Tri-Trus: in contrasto con l’austerità e il realismo delle immagini e l’astrazione prodotta dalle luci colorate, era prevista la proiezione in sovraimpressione di forme in bianco e nero ( sole, luna, stelle, nuvole, segni cosmici ) introdotti secondo un ritmo pulsante e irregolare;
  4. Volumes: alcune strutture metalliche tridimensionali illuminate da luci ultraviolette apparivano durante i momenti di vuoto sonoro.

Per realizzare tutto questo furono utilizzati, secondo modalità inedite, proiettori, fari, specchi, dischi rotondi, lampade fluorescenti. Un altro aspetto era il problema del coordinamento delle sequenze con il tempo e la sincronia dei contenuti in rapporto al colore e alla forma delle immagini.

Dopo un interludio di due minuti, scritto da Xenakis (Concrete PH ), e dopo alcuni minuti di buio, il suono di due gong dava l’avvio agli otto minuti di Poème électronique.

L’idea di raccontare con Poème Electronique il ” disastro contemporaneo e la sua redenzione” ha senso se la si inquadra in un contesto post-bellico e in relazione alla tendenza cui l’Expo belga voleva farsi manifesto: la possibile riconciliazione dell’uomo con le conquiste della tecnica, ancora più manifesta nella costruzione dell’ Atomium.

Le Corbusier, già coinvolto nel progetto del Quartier generale delle Nazioni Unite a New York, non parlava in termini di presa di posizione politica ma in termini di relazione ”dell’uomo con la natura” e di consapevolezza che ”i confllitti possono essere ridimensionati”: “Dobbiamo smettere di prepararci alla guerra” e ”dobbiamo inventare, mettere in atto opere di pace …la MANO APERTA, aperta a ricevere… a distribuire” …  Il nostro repertorio di immagini (documentarie, cinematografiche, fotografiche) è generato da ansia interpretativa, volontà di cogliere nessi e interpretazioni colte da più fonti. Non pretendiamo di essere esaurienti e, anzichè chiudersi, questo Poème électronique aspira ad aprirsi verso nuove riletture delle sette sequenze come un lavoro in progress. Il finale, più che affidato alle grandi utopie, lo abbiamo consegnato alla ”verità…concreta” del mondo nel suo disvelarsi, a quella moltitudine di ‘ mani ‘che nell’atto di levarsi assieme hanno il peso dell’impegno e quelle ‘ imprese avventurose ‘ dell’uomo che pur con tutte le loro ambiguità hanno la capacità di generare stupore e che sono rivolte, come dice Stevenson, ” a certe tendenze illogiche dell’uomo, tendenze che si potrebbero dire sensuali ” e affidate al sogno”.

 

   

 La Componente Sonora

La componente sonora di Poème Electronique, composta da Edgar Varèse nel 1958 per l’occasione dell’Esposizione, almeno nelle intenzioni, esprime in pari misura il desiderio di fondere in una visionaria, multiforme e cosmica dimensione percettiva il concetto di opera d’arte in un contesto scientifico e tecnologico.

Edgard Varese stesso ebbe a dire: “In musica ci sono tre dimensioni: orizzontale, verticale e quella dinamica, espressa sia in crescendo che in calando. Io potrei aggiungere una quarta, la proiezione del suono nello spazio, ovvero la sensazione che se sta andando via per sempre e senza alcuna speranza di tornare indietro, una percezione simile a quella suscitata dai fasci di luce emessi da un potente proiettore – è infatti una condizione che vale sia per l’orecchio che per l’occhio. Oppure potrei definirlo il senso della proiezione o, se volete, un viaggio senza ritorno nello spazio”.

In questa sua opera lo spazio gioca un ruolo centrale: da una parte rappresenta il punto d’origine concettuale dell’intera operazione e dall’altra si propone come variabile strutturante aggiunta non solo nel progetto architettonico, ma anche in quello musicale/sonoro.

Il materiale acustico della composizione, interamente prodotta per “nastro magnetico”, include una varietà di materiali sonori concreti e riconoscibili, ancorché elaborati elettronicamente, e suoni elettronici di varia natura combinati tra loro.

Per la composizione furono sperimentate nuove tecniche e utilizzate molteplici fonti sonore che venivano mescolate e combinate in laboratorio per produrre suoni, vibrazioni e riverberazioni acustiche: campane, accordi di pianoforte, percussioni, oscillometri per ottenere sonorità sinusoidali, generatori d’impulsi, registrazioni filtrate di cori e voci soliste, macchine per produrre suoni. 

Nella versione originale, il brano era registrato su un magnetofono a tre piste (una per il suono vero e proprio e due per la riverberazione ed effetti) e distribuito all’interno del Padiglione attraverso un complesso sistema di 425 altoparlanti e 20 diverse combinazioni di amplificatori al fine di creare percorsi e traiettorie sonore su tutte le superfici della struttura. 

Come ebbe poi a dire Varèse stesso: “… Ho udito per la prima volta la mia musica letteralmente proiettata nello spazio… ”.

L’idea è rappresentata da una base di una struttura interna espansa e suddivisa in differenti forme o raggruppamenti di suoni che cambiano costantemente in forma, direzione e velocità, attratte e respinte da varie forze. 

La forma di questo lavoro è la conseguenza di quest’interazione.

   

Questa versione di Poème Electronique è stata realizzata a partire da una versione stereofonica del brano e riassemblata attraverso una sofisticata tecnica di elaborazione digitale del suono conosciuta come “Ambisonic diffusion” che consente di collocare il suono virtualmente in ogni punto di uno spazio fisico delimitato da un insieme limitato di altoparlanti. In questo caso viene impiegata una matrice di 8 altoparlanti disposti secondo una forma cubica per consentire la percezione della componente “perifonica” del suono (percezione della componente di altezza o elevazione del suono).
A differenza delle tecniche tradizionali di spazializzazione, il sistema Ambisonics consente di realizzare una realistica “virtualizzazione” delle sorgenti sonore in movimento, e ciò in quasi totale indipendenza dalla posizione dell’ascoltatore.

Il brano, della durata effettiva di 480 secondi (8 minuti), come nell’esecuzione originale, è preceduto da una breve composizione di Iannis Xenakis (“Concrete PH”) che funge da preludio o eventualmente da “interludio” per una performance continua e circolare. 

Attualmente il video del Poème Electronique, capolavoro dell’arte contemporanea, è stato recuperato ed è offerto ad un pubblico potenzialmente molto più vasto rispetto a quello dell’ Expo del 1958 (poiché non dipende più dallo spazio fisico del padiglione).

Costituisce tra l’altro,  da un punto di vista didattico un supporto per l’insegnamento di uno dei temi più celebri dell’architettura contemporanea; da un punto di vista artistico, un ambiente VR funzionale per potenziare la creatività attraverso le nuove tecnologie; da un punto di vista tecnologico, la progettazione di complesse soluzioni nell’integrazione dei diversi media (progetto dello spazio digitale, visualizzazione dello spettacolo di immagini e luci, organizzazione delle traiettorie sonore) e nell’interazione tra lo spettatore e l’installazione. 

L’installazione può essere ospitata nei musei di arte contemporanea e nei centri scientifici così come nelle scuole/istituti di architettura, musica, multimedia e design; l’applicazione interattiva WWW può rendere pubblica l’installazione sul sito internet dell’istituzione, e può sollevare curiosità intorno all’installazione prima, come pure essere la base per una ricerca approfondita dopo, della visita o lo studio. Inoltre, è disponibile un video che descrive il  progetto VEP e l’interazione con l’installazione VR, per potenziare la disseminazione degli aspetti spettacolari del prodotto finale. 

La première dell’installazione ha avuto luogo a Barcellona agli inizi di Settembre 2005 in occasione della International Computer Music Conference (ICMC2005) e successivamente l’installazione è stata riproposta alla Virtuality Conference 2005, 3-5 novembre. 

Prossimi appuntamenti: Torino – Eindhoven, maggio 2006 

Non posso resistere al bruciante desiderio

di oltrepassare i limiti   

(Edgard Varèse)  

 

 Link per ascoltare il poème electronique di Varese 
http://www.medienkunstnetz.de/works/poeme-electronique/audio/1/

Altri links 

http://www.medienkunstnetz.de/works/poeme-electronique/audio/1/

http://www.tu-harburg.de/b/kuehn/lecorb.html

http://trumpet.sdsu.edu/M345/Varese.html

18 risposte a "IL PADIGLIONE PHILIPS e IL POÈME ELECTRONIQUE – Bruxelles (1956-1958)"

  1. Philosofia 14 aprile 2009 / 10:54

    se vogliamo essere più precisi… era uno svizzero naturalizzato francese… ma fai tu…
    Forse a me interessava far cogliere cose molto più importanti …
    🙂

    PS
    perchè hai voluto rimanere anonimo/a? non ti mangio mica!!!

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  2. anonimo 10 aprile 2009 / 13:42

    la lettura è stata molto interessante, la musica molto bella, ma vorrei precisare che Le Corbusier era un architetto svizzero non francese

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  3. debostrange 12 aprile 2007 / 22:05

    !!!!!!!!!!!!!

    non trovo le parole…



    ti adoro!!!

    forse l’ho trovato finalmente,
    sai un giorno assistetti ad una conferenza
    sulla musica e si parlò anche di architettura,
    e di Xenakis… ma anche di altri nomi importanti…
    come John Cage… ecc…
    solo ero talmente presa a cercare di ricordare tutto,
    che poi mi rimase un pò di confusione
    e non mi ricordavo il luogo!
    dopodiché mi registrai tutte le trasmissioni radiofoniche
    su radiotre, in cui facevano sentire
    la cosiddetta “musica colta” del ‘900…
    🙂
    aspetta, adesso mi leggo tutto il post
    che mi interessa tantissimo…

    ti lascio un bacio,
    dolce e straordinaria architetto.

    Debo

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  4. Philosofia 13 gennaio 2007 / 22:42

    CORBU: vieni a trovarmi quando vuoi sul blog, è aperto a tutti, anche per consigli didattici, anche se non credo tu ne abbia bisogno.
    Mi fa piacere avere contatti anche con altri architetti.

    ERREMME: già…Le Corbusier è stato un grande architetto, e tante sue cose sono sconosciute.
    Grazie per l’apprezzamento al mio blog, che ancora va rifinito dato che da quando gli ho cambiato il template non ho avuto tempo per sistemarlo definitivamente: ancora non riesco a rimettere la musica di fondo, per esempio…
    Anche il tuo blog è molto interessante ed artistico, lo guarderò un pò alla volta.

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  5. erremme 13 gennaio 2007 / 17:25

    tra i miei punti di riferimento.. le corbusier.. uomo dalle doti creative incredibili.. a napoli ho visto una sua lettera autografa spedita ad un suo amico partenopeo, l’ing. cosenza, peraltro bravissimo e non secondo a L.C., e sapessi che emozione! molto bello il tuo blog..
    roberto matarazzo

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  6. Corbu 6 gennaio 2007 / 00:04

    Molto interessante. Lo noterai dal nickname: sono anch’io architetto e ho insegnato in ruolo per 12 anni agli istituti per Geometri tecnologia Costruzioni e disegno. Ora insegno Arte alle medie inferiori. Il prossimo anno spero di passare ai Licei (Disegno e Storia dell’Arte): Inutile dire che LC è uno dei miei fari. sono stato a Possy e a Ronchamp: esperienze estatiche… mi piacerebbe entrare nel blog. Anche per consigli didattici.

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  7. Equilibrist88 11 luglio 2006 / 00:31

    interessante…. quando avrò un pò più di tempo lo leggerò per intero, anke a me piace l’architettura.
    ciao phil (ti dispiace se ti dò del tu?)
    ah,e complimenti per il blog…è uno dei più belli di tt

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  8. ooohopla 3 dicembre 2005 / 18:47

    Che post meraviglioso, carissima Phil!!
    Come mi piace tutta questa ricerca di innovazione, che è poi, se vuoi, alla base di ciò che dovrebbe significare un ipertesto multimediale, quando sia costruito bene. Quando cioè il suo ideatore riesce a far sì che, attraverso un pluralità di fonti visive ed uditive, il fruitore conduca una suo percorso conoscitivo, ben più ampio di quello che offre un libro stampato. Su Le Corbusier ricordo ancora con piacere le pagine che Lewis Mumford dedicò alle idee geniali di quel grande architetto nel suo splendido volume “La città nella storia”.
    saluti cari

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  9. Nonostantetutto 2 dicembre 2005 / 01:41

    Esatto bravo proprio da una frase del Vangelo.

    Grande Battiato.

    Peraltro non citando da quale Vangelo la cosa pone milla implicazioni altre.

    Vai a vedere Mary di Abel Ferrara per comprendere.

    Rob.

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  10. anonimo 30 novembre 2005 / 09:00

    Lo deduci da una frase del Vangelo?

    Eheheh, Complimenti!

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  11. Nonostantetutto 29 novembre 2005 / 13:30

    Comlimenti per il post interessnatissimo.

    Mi corre però l’obbligo di citare un verso di Battiato il quale sostiene che:

    … è meglio un imbianchino di Le Corbusier

    Lo inviterei a leggere questo post.

    😉

    Rob.

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  12. minstrel 29 novembre 2005 / 11:39

    Straordinario! Lasciami il tempo di rileggerlo con calma una volta che l’ho stampato e poi ti dirò cosa ne penso! Sicuramente sentivo la mancanza di blog che proponessero veri saggi, non “semplici” post! Il tuo ne è per ora l’emblema!
    GRAZIE!

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  13. DocHuge 28 novembre 2005 / 13:53

    Hem… concordo con i post precedenti… impegnativo, ma decisamente interessante (ci ho messo un pochino a leggerlo tutto). Non conoscevo affatto quest’opera (andata purtroppo distrutta), ma sono tante le cose che non conosco… ^__^
    Complimenti!
    A presto…

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  14. williamnessuno 26 novembre 2005 / 15:03

    Mamma mia!
    E me lo chiami “post”?
    Questo è in vero e proprio saggio!
    Complimenti
    🙂

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  15. pin65 26 novembre 2005 / 13:45

    bentornata phil!
    Leggere cose simili (di arte, di sperimentazione, di concezione e realizzazione…) mi dà un senso di malinconia del quale all’incirca riesco a riconoscere le ragioni, ma non ci provo ora.
    Mettere tutto questo post in splinder non deve esserre nemmeno stato così semplice, considerato anche che ultimamente splinder non sempre collabora.
    Grazie 🙂

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  16. arciere 26 novembre 2005 / 13:25

    ciao phil,
    che bella la cultura francese… leggendo il tuo post ascoltavo Jacque Brel e m’è venuto in mente Truffaut..che ha fatto i film che ho amato e che amo…
    grazie
    abbracci
    arciere

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  17. ruckert 26 novembre 2005 / 12:23

    mamma mia phil

    ne ho letto solo la metà, ma devo fermarmi per dirti che è davvero affascinante questo post… lo leggerò ancora e finirò ma con più calma di adesso, sono troppi gli spunti di interesse. Tornerò.

    Ciao

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